Sembra strano chiederselo in psicoanalisi, ma in realtà appare veramente importante capire cosa è il corpo. Sono molti i filosofi, teorici, critici letterari, storici e antropologi che cercano di rispondere a questa domanda.
Possiamo dire con certezza una cosa, che da tutte le indagini è emersa una convinzione comune: né la biologia né la chimica ci possono dare sul corpo una risposta adeguata. Una cosa è il sostrato fisiologico, l’altra è l’esperienza che traggo dall’abitare nella mia dimora corporea, l’esperienza cioè di un corpo che ha una soggettività e anche un senso di essere capace di azione; ciò che Merleau-Ponty chiamava il “corpo vissuto”. Con il tempo, anche il corpo, può esserci totalmente familiare o totalmente estraneo. La sua presenza pervade ogni cosa, al punto che difficilmente la notiamo: eppure il corpo lascia la sua impronta su tutto ciò che facciamo o viviamo. Trascurare il corpo in psicoanalisi è come trascurare il soggetto stesso.
Che sia ancora un argomento spinoso lo dimostra il fatto che, ancora oggi, si dividono le psicoterapie “corporee” da tutte le altre. Il che ci racconta la profonda scissione che esiste ancora tra la mente e il corpo. Un dualismo, di cartesiana memoria, che non sembra essere ancora superato.
Per fortuna stanno crescendo esponenzialmente il numero di psicoanalisti che incoraggiano a lavorare e parlare della loro esperienza corporea e ricorrono ad interventi sul corpo. Ciò significa che il paziente è aiutato a osservare o esplorare respirazione, posture, rigidità muscolari ed altro.
Lavorare sul corpo è un altro modo per lavorare sul soggetto nella sua interezza. Questa cosa appare evidente quando si esaminano in modo particolareggiato i ‘ricordi somatici’: essi possono far accedere in un modo diverso, che non sarebbe possibile tramite le parole, alla conoscenza maggiore degli eventi e dei vissuti. E’ come scoprire la presenza di una stanza segreta.
Noi siamo corpo e mente senza distinzione, e la distinzione di queste esperienze di sé è solo un artificio linguistico che non trova nessuna conferma nel nostro naturale funzionamento. Per questo parlare di ‘somatizzazioni’ è riduttivo. Tutto ciò che siamo noi è anche corpo. “Pensare è un gesto corporeo non più e non meno di calciare un pallone” (Florita, M.)
Provate a descrivere un emozione togliendo le componenti “corporee”?
Forse il miglior modo per parlare del corpo è quello di non distinguerlo dal soggetto perchè, come direbbe Merleau-Ponty….
“Io sono tutto ciò che vedo, sono un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia situazione storica, ma viceversa essendo questo corpo, questa situazione e tutto il resto attraverso di essi.”
Articolo tratto da “Il corpo e la parola” di George Downing, “L’intreccio” e “Alice, il fenicottero e il porcospino” di Marcello Florita, psicoanalista di Milano.